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venerdì 4 giugno 2010

Non c'è amicizia senza lealtà

Firmamentum autem stabilitatis constantiaeque est eius, quam in amicitia quaerimus, fides; nihil est enim stabile, quod infidum est. Simplicem praeterea et communem et consentientem, id est qui rebus isdem moveatur, eligi par est. Quae omnia pertinent ad fidelitatem; neque enim fidum potest esse multiplex ingenium et tortuosum, neque vero, qui non isdem rebus movetur naturaque consentit, aut fidus aut stabilis potest esse. Addendum eodem est ut ne criminibus aut inferendis delectetur aut credat oblatis, quae pertinent omnia ad eam, quam iam dudum tracto, constantiam. Ita fit verum illud, quod initio dixi, amicitiam nisi inter bonos esse non posse. Est enim boni viri, quem eundem sapientem licet dicere, haec duo tenere in amicitia: primum ne quid fictum sit neve simulatum; aperte enim vel odisse magis ingenui est quam fronte occultare sententiam; deinde non solum ab aliquo allatas criminationes repellere, sed ne ipsum quidem esse suspiciosum semper aliquid existimantem ab amico esse violatum. Accedat huc suavitas quaedam oportet sermonum atque morum, haudquaquam mediocre condimentum amicitiae. Tristitia autem et in omni re severitas habet illa quidem gravitatem, sed amicitia remissior esse debet et liberior et dulcior et ad omnem comitatem facilitatemque proclivior.


Traduzione

Base poi di quella stabilità e costanza che cerchiamo nell’amicizia, è la lealtà; niente, infatti, è stabile se è sleale. È conveniente inoltre che venga scelto (come amico) uno schietto, affabile e concorde (con noi), cioè che reagisca alle situazioni come noi. Tutte cose queste che appartengono alla sfera della lealtà; neppure, infatti, può essere leale un carattere lunatico e tortuoso, né poi può essere leale o stabile (colui) che non reagisce come noi2 e non ha per natura i nostri stessi sentimenti. A (questo) stesso scopo bisogna aggiungere che (l’amico) non provi gusto nel muovere accuse o non presti fede alle (accuse) mosse. Tutte cose queste che riguardano quella fermezza d’animo che già da un po’ vado trattando. Così diventa vero ciò che ho detto in principio, che (cioè) non può esservi amicizia se non tra persone virtuose. È infatti proprio di un uomo virtuoso, che può anche essere definito saggio, osservare nell’amicizia queste due regole: la prima, che non ci sia niente di finto né di simulato; infatti addirittura l’odiare apertamente è degno4 di un uomo virtuoso più che il nascondere con il volto il (proprio) parere; la seconda5, che non solo rifiuti le calunnie mosse da qualcuno (contro l’amico), ma che non sia sospettoso neanche lui, pensando sempre che l’amico abbia commesso qualche torto6. Conviene che si aggiunga a ciò una certa dolcezza di parole e di comportamenti, condimento davvero non da poco dell’amicizia. L’atteggiamento burbero e severo in ogni circostanza possiede sì, (già) quello [oppure: di per sé], una (sua) serietà, ma l’amicizia deve essere più piacevole, più tranquilla, più dolce e più disposta verso ogni (forma di) cortesia e (di) affabilità.

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