LATINISTI

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sabato 5 giugno 2010

Cicerone De senectute, 1-10

O Tite, si quid ego adivero curamve levasso,
Quae nunc te coquit et versat in pectore fixa,
Ecquid erit praemi?
Licet enim mihi versibus eisdem adfari te, Attice, quibus adfatur Flamininum
Ille vir haud magna cum re, sed plenus fidei;
quamquam certo scio non, ut Flamininum,
Sollicitari te, Tite, sic noctesque diesque;
novi enim moderationem animi tui et aequitatem, teque non cognomen solum Athenis deportasse, sed humanitatem et prudentiam intellego. Et tamen te suspicor eisdem rebus quibus me ipsum interdum gravius commoveri, quarum consolatio et maior est et in aliud tempus differenda. Nunc autem visum est mihi de senectute aliquid ad te conscribere.


Traduzione



O Tito, se ti aiuto e ti libero dell'angoscia
che ora, confitta nel cuore, ti brucia e ti tormenta,
che ricompensa avrò?
Posso davvero rivolgermi a te, Attico, con gli stessi versi con cui a Flaminino si rivolge
quell'uomo non di grandi ricchezze, ma pieno di lealtà
anche se sono sicuro che, diversamente da Flaminino, non
ti agiti così, Tito, giorno e notte.
Conosco la misura e l'equilibrio del tuo animo e so che da Atene non hai riportato solo il tuo soprannome, ma anche cultura e saggezza. E tuttavia sospetto che, talvolta, ti assillino molto gravemente i problemi che travagliano anche me. Consolarsi da essi è impresa assai ardua e da differirsi ad altro momento. Ora, invece, mi è sembrato opportuno comporre per te qualcosa sulla vecchiaia.

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