LATINISTI

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sabato 5 giugno 2010

Cicerone Filippiche, veglierò so di voi

Quam ob rem, Quirites, consilio, quantum potero, labore plus paene, quam potero, excubabo vigilaboque pro vobis. Etenim quis est civis, praesertim hoc gradu, quo me vos esse voluistis, tam oblitus beneficii vestri, tam immemor patriae, tam inimicus dignitatis suae, quem non excitet, non inflammet tantus vester iste consensus? Multas magnasque habui consul contiones, multis interfui; nullam umquam vidi tantam, quanta nunc vestrum est. Unum sentitis omnes, unum studetis, M.Antoni conatus avertere a re publica, furorem extinguere, opprimere audaciam. Idem volunt omnes ordines, eodem incumbunt municipia, coloniae, cuncta Italia. Itaque senatum bene sua sponte firmum firmiorem vestra auctoritate fecistis.

Traduzione


Per questa ragione, Quiriti, con saggezza, quanta potrò, con fatica, quasi più di quanto potrò, non mi concederò riposo per vigilare su di voi. E infatti chi è un cittadino, specialmente di questo rango, con il quale voi avete voluto che io fossi, tanto dimentico del vostro benessere, tanto immemore della patria, tanto nemico della propria dignità che questo grande vostro consenso non eccita, non infiamma? Da console ho tenuto molti discorsi, a molti ho partecipato; mai ho visto (un consenso) così grande come ora (lo) è il vostro. Un unico sentimento provate tutti, a uno solo vi dedicate, (e cioè) allontanare dallo stato i tentativi di Marco Antonio, estinguerne il furore, opprimerne l'audacia. Lo stesso vogliono tutti gli ordini, a questo stesso scopo mirano municipi, colonie, tutta l'Italia. Pertanto avete reso bene il senato di sua iniziativa solido e più stabile con la vostra autorità.

Cicerone De senectute, 11-20

Tarentum vero qua vigilantia, quo consilio recepit! cum quidem me audiente Salinatori, qui amisso oppido fugerat in arcem, glorianti atque ita dicenti; 'Mea opera, Q. Fabi, Tarentum recepisti,' 'Certe,' inquit ridens, 'nam nisi tu amisisses numquam recepissem.' Nec vero in armis praestantior quam in toga; qui consul iterum Sp. Carvilio conlega quiescente C. Flaminio tribuno plebis, quoad potuit, restitit agrum Picentem et Gallicum viritim contra senatus auctoritatem dividenti; augurque cum esset, dicere ausus est optimis auspiciis ea geri, quae pro rei publicae salute gererentur, quae contra rem publicam ferrentur, contra auspicia ferri.


Traduzione


E Taranto, con che instancabilità, con che intelligenza la riprese! In tale occasione con le mie orecchie lo sentii ribattere a Salinatore che, persa la città, si era rifugiato nella rocca e si gloriava con queste parole: "Per opera mia, Quinto Fabio, hai ripreso Taranto!" "Certo!" rispose ridendo. "Se tu non l'avessi persa io non l'avrei mai ripresa!" E davvero non fu più eccellente nelle armi che in toga: console per la seconda volta, sebbene il suo collega Spurio Carvilio non prendesse posizione, si oppose finché poté al tribuno della plebe Caio Flaminio che, contro il volere del senato, intendeva procedere a una distribuzione fra i singoli individui del territorio piceno e gallico. Quando fu augure osò dire che hanno i migliori auspici le iniziative intraprese a vantaggio dello stato mentre le proposte avanzate a suo danno hanno auspici sfavorevoli.

Cicerone De senectute, 1-10

O Tite, si quid ego adivero curamve levasso,
Quae nunc te coquit et versat in pectore fixa,
Ecquid erit praemi?
Licet enim mihi versibus eisdem adfari te, Attice, quibus adfatur Flamininum
Ille vir haud magna cum re, sed plenus fidei;
quamquam certo scio non, ut Flamininum,
Sollicitari te, Tite, sic noctesque diesque;
novi enim moderationem animi tui et aequitatem, teque non cognomen solum Athenis deportasse, sed humanitatem et prudentiam intellego. Et tamen te suspicor eisdem rebus quibus me ipsum interdum gravius commoveri, quarum consolatio et maior est et in aliud tempus differenda. Nunc autem visum est mihi de senectute aliquid ad te conscribere.


Traduzione



O Tito, se ti aiuto e ti libero dell'angoscia
che ora, confitta nel cuore, ti brucia e ti tormenta,
che ricompensa avrò?
Posso davvero rivolgermi a te, Attico, con gli stessi versi con cui a Flaminino si rivolge
quell'uomo non di grandi ricchezze, ma pieno di lealtà
anche se sono sicuro che, diversamente da Flaminino, non
ti agiti così, Tito, giorno e notte.
Conosco la misura e l'equilibrio del tuo animo e so che da Atene non hai riportato solo il tuo soprannome, ma anche cultura e saggezza. E tuttavia sospetto che, talvolta, ti assillino molto gravemente i problemi che travagliano anche me. Consolarsi da essi è impresa assai ardua e da differirsi ad altro momento. Ora, invece, mi è sembrato opportuno comporre per te qualcosa sulla vecchiaia.

Preparativi per la Battaglia

Die praestituta ad pugnam mane consules in vasta planitie aciem tanta peritia instruxerunt ut equites confertis ordinibus omnes perdites protegerent. Victoriae spes Romanos excitabat et ii fide et precationibus animos ad deos advertebant. Milites enim pridie in mediis castris Martis marmoream effigiem collocaverant, ei hostias immolaverant et eum obsecraverant ut perniciem ab exercitu averteret et huic res secundas concederet. Praeterea consules ante proelium oppurtunis verbis milites confirmabant, longam victoriarum seriem memorabant et eis spem in patriam reditus addebant. Denique tuba signum dedit et cum rabie fideque milites in hostes impetum fecerunt.



Traduzione




In un giorno prestabilito alla battaglia, di mattina i consoli istruivano in una desolata pianura l'esercito con così tanta perizia che i cavalieri pieni di ordini nascondevano tutti i perduti. La speranza di vittoria eccitava i Romani e la loro fiducia e [le loro] preghiere volgevano gli animi agli dei. I soltadi infatti la vigilia avevano messo la statua marmorea di Marte nel mezzo dell'accampamento, a lui avevano immolato i nemici e lo avevano supplicato di allontanare dall'esercito la sventura e concedergli il benessere. Inoltre i consoli prima della battaglia incoraggiavano i soldati con opportune parole, ricordavano la lunga serie di vittorie e a loro aggiungevano la speranza del ritorno in patria. Infine la tromba diede il segnale e con rabbia e fiducia i soldati si lanciarono all'attacco contro i nemici.

venerdì 4 giugno 2010

Onestà e saggezza

In rebus secindis multi amici officia parebent et vita omnium dierum facilis est et beata.Sed vera virtus hominum in rebus adversis patet.Cum omnis spes concidit, cum fides amicorum evanescit, nec semper meridies cibos apponit , tum vere probus probitatem ostendit.Vir malus contra in rebus secundis speciem honestatis monstrat, si vero fortuna mutat,ne mala scelera quidem vitat.Vir sapiens autem, si fortuna est secunda, veros amicos et veras divitias cernit; itaque, si res mutant , non solum perniciem vitat, sed etiam fide ac spe vitam suam redintegrat.



Traduzione


Nelle situazioni favorevoli molti amici si mettono a disposizione per aiuti e la vita di tutti i giorni è facile e beata. Ma la vera virtù dell'uomo si manifesta nelle circostanze avverse. Quando cade ogni speranza, quando la fede degli amici viene meno, e non si ahnno davanti dei cibi sempre a mezzogiorno, allora il buomo mostra veramente la bontà. Al contrario l'uomo cattivo nelle situazioni favorevoli dimostra una sorta di onestà, se la fortuna cambia veramente, e non evita nemmeno le cattive scelleratezze. Invece l'uomo saggio, se la sorte è favorevole, distingue i veri amici e le vere ricchezze; perciò, se le situazioni cambiano, non solo evita le disgrazie, ma rianima la sua vita anche con la speranza.

Il saccheggio dal tempio di Minerva

Aedis Minervae est in Insula, de qua ante dixi; quam Marcellus non attigit, quam plenam atque ornatam reliquit; quae ab isto sic spoliata atque direpta est non ut ab hoste aliquo, qui tamen in bello religionem et consuetudinis iura retineret, sed ut a barbaris praedonibus vexata esse videatur. Pugna erat equestris Agathocli regis in tabulis picta praeclare; iis autem tabulis interiores templi parietes vestiebantur. Nihil erat ea pictura nobilius, nihil Syracusis quod magis visendum putaretur. Has tabulas M. Marcellus, cum omnia victoria illa sua profana fecisset, tamen religione impeditus non attigit; iste, cum illa propter diuturnam pacem fidelitatemque populi Syracusani sacra religiosaque accepisset, omnis eas tabulas abstulit, parietes quorum ornatus tot saecula manserant, tot bella effugerant, nudos ac deformatos reliquit.

Traduzione


C'è un tempio di Minerva sull'isola, di cui ho già parlato, e che Marcello non ha toccato, lo ha lasciato pieno di tutti i suoi tesori e ornamenti, ma che così è stato svuotato e "attaccato" da Verre, che sembra essere stato nelle mani non di un nemico - i nemici, anche in guerra, rispattano i riti della religione e i costumi del paese, ma (nelle mani) di un qualche pirata barbaro. C'era la battaglia della cavalleria del Re Agathocle, perfettamente dipinto in una serie di figure, e con queste figure erano ornate le mura interne del tempio. Niente era più nobile di quei dipinti; Non c'era niente a Sicuracusa che valeva vedere di più.Queste figure Marcello, che con ogni sua vittoria prendeva tutto, non le toccò, impedito dalla sacralità (di esse); Questo (Verre), dopo la lunga pace e la lealtà dei Siracusani, li ha accolti come sacri e sotto la protezione della religione, portando via queste figure che sono rimaste inviolate per tanto tempo e che sono sfuggite a tante guerre, lasciando nude e deformate le mura.

L'esempio dei migliori insegna a vivere

Si velis vitiis exui, longe a vitiorum exemplis recedendumest. Avarus, corruptor, saevus, fraudulentus, multum nocituri si propea te fuissent, intra te sunt. Ad meliores transi: cum Catonibus vive, cumLaelio, cum Tuberone. Quod si convivere etiam Graecis iuvat, cum Socrate, cum Zenone versare: alter te docebit mori si necesse erit, alter antequamnecesse erit. Vive cum Chrysippo, cum Posidonio: hi tibi tradent humanorumdivinorumque notitiam, hi iubebunt in opere esse nec tantum scite loquiet in oblectationem audientium verba iactare, sed animum indurare et adversusminas erigere. Unus est enim huius vitae fluctuantis et turbidae portuseventura contemnere, stare fidenter ac paratum tela fortunae adverso pectoreexcipere, non latitantem nec tergiversantem.


Traduzione



Se vuoi spogliarti dei vizi, devi stare lontano da esempi di vizi. L'avaro, il corruttore, il crudele, il truffatore, che già nuocerebbero molto se fossero vicini a te, tu li hai dentro di te. Passa a compagni migliori: vivi con Catone, Lelio, Tuberone. E, se ti piace anche stare insieme ai Greci, intrattieniti con Socrate, Zenone: l'uno ti insegnerà a morire se sarà necessario, l'altro prima che sia necessario. Vivi con Crisippo, con Posidonio: essi ti trasmetteranno la conoscenza dell'umano e del divino, ti inviteranno all'operosità e non solamente a parlare con eleganza e a ostentare belle parole per il piacere dell'uditorio, ma a rafforzare l'animo e a ergerlo contro tutte le minacce. In questa vita incerta e agitata c'è un solo porto: disprezzare il futuro, essere fermi e risoluti e pronti a ricevere i colpi della fortuna, in pieno petto, senza nascondersi o temporeggiare.

I primi consoli Romani

Cum Romani Tarquinium regem expulissent, fuerunt primo anno consules L. Iunius Brutus et Tarquinius Collatinus, Lucretiae vir. Movit tamen bellum urbi Romae rex Tarquinius: is apud Porsenam, Etruriae regem, confugerat ut, eius auxilio, regnum recuperaret. In prima pugna Brutus consul et Tarquinii filius invicem se occiderunt; Romani tamen bellum vicerunt. Brutum, Lucretiae defensorem, matronae Romanae quasi communem patrem per annum luxerunt. Secundo quoque anno iterum Tarquinius bellum Romanis indixit et Romam paene cepit. Denique Tarquinius, cum Porsena pacem cum Romanis fecisset, Cumas confugit atque ibi reliquum tempus vitae egit.



Traduzione


Dopo che i Romani ebbero cacciato il re Tarquinio, nel primo anno furono consoli L. Giunio Bruto e Tarquinio Collatino, marito di Lucrezia. Tuttavia il re Tarquinio mosse guerra alla città di Roma: costui (= questo) si era rifugiato presso Porsenna, re dell'Etruria, al fine di riprendersi il regno con il suo aiuto. In una prima battaglia il console Bruto ed il figlio di Tarquinio si uccisero l'un l'altro; tuttavia i Romani vinsero la guerra. Le matrone romano piansero durante un anno, quasi [fosse stato] il padre di tutte (lett. "comune), Bruto, il difensore di Lucrezia. Anche nel secondo anno Tarquinio di nuovo dichiarò guerra ai Romani e quasi occupò Roma. Infine Tarquinio, poiché Porsenna aveva fatto la pace con i Romani, si rifugiò a Cuma e là visse il resto della sua vita.

Annibale e colloquio con Scipione

Summotis pari spatio armatis cum singulis interpretibus congressi sunt, non suae modo aetatis maximi duces, sed omnis ante se memoriae, omnium gentium cuilibet regum imperatorumve pares. Paulisper alter alterius conspectu, admiratione mutua prope attoniti, conticuere. Tum Hannibal prior: "Si hoc ita fato datum erat, ut, qui primus bellum intuli populo Romano, quique totiens prope in manibus victoriam habui, is ultro ad pacem petendam venirem, laetor te mihi sorte potissimum datum, a quo peterem. Tibi quoque inter multa egregia non in ultimis laudum hoc fuerit, Hannibalem, cui tot de Romanis ducibus victoriam di dedissent, tibi cessise, teque huic bello, vestris plus quam nostris cladibus insigni, finem imposuisse.


Traduzione

Lasciate indietro a egual distanza le scorte armate, si avvicinarono, ciascuno coi suoi interpreti, i due duci, che non solo erano i massimi del tempo, ma, a memoria d'uomo, eguali di qualsiasi re o duce di qualsivoglia nazione. Per un momento, giunti l'uno in cospetto dall'altro, quasi colpiti da mutua ammirazione, stettero in silenzio, Poi Annibale parlò per primo.
"Se questo era così destinato, che io, che primo mossi guerra al popolo romano, che tante volte ebbi quasi in mano la vittoria, proprio io per primo venissi a domandare la pace, sono contento che il destino mi abbia tratto a domandare la pace, sono contento che il destino mi abbiatratto a domandarla proprio a te. Anche per te, fra tante tue insigni imprese, non sarà il minor titolo di gloria il fatto che Annibale, al quale gli dei avevano dato la vittoria su tanti duci romani, abbia ceduto a te, e che tu abbia posto termine a questa guerra, memoranda per le disfatte vostre più che per le nostre.

Hannibal di Corneli Nepote

Hannibal , Hamilcaris filius, Carthaginiensis. Si verum est, quod nemo dubitat, ut populus Romanus omnes gentes virtute superarit, non est infitiandum Hannibalem tanto praestitisse ceteros imperatores prudentia, quanto populus Romanus antecedat fortitudine cunctas nationes. Nam quotienscumque cum eo congressus est in Italia, semper discessit superior. Quod nisi domi civium suorum invidia debilitatus esset, Romanos videtur superare potuisse. Sed multorum obtrectatio devicit unius virtutem. Hic autem velut hereditate relictum odium paternum erga Romanos sic conservavit, ut prius animam quam id deposuerit, qui quidem, cum patria pulsus esset et alienarum opum indigeret, numquam destiterit animo bellare cum Romanis.



Traduzione



Annibale, figlio di Amilcare, era Cartaginese. Se è vero, cosa di cui nessuno dubita, che il popolo Romano ha superato in valore tutti i popoli, non bisogna negare che Annibale fu così tanto superiore agli altri generali in astuzia quanto il popolo Romano superò in forza tutti gli altri popoli. Infatti ogni volta che Annibale si scontrò con quello (il popolo romano) in Italia, sempre ne riuscì vincitore. E se non fosse stato indebolito dall'ostilità dei suoi concittadini in patria, sembra che avrebbe potuto sconfiggere i Romani. Ma l'ostilità di molti vinse il valore di uno solo. In lui l'odio per i Romani lasciatogli dal padre come un'eredità era così radicato, in modo tale che lasciò la vita prima di (lasciare) quell’(odio), tanto che non cessò mai di combattere con l'animo contro i Romani, sebbene fosse stato cacciato dalla sua patria e avesse bisogno dei soccorsi altrui.

Ad Urbe Condita

Iam primum omnium satis constat Troia capta in ceteros saevitum esse Troianos, duobus, Aeneae Antenorique, et vetusti iure hospitii et quia pacis reddendaeque Helenae semper auctores fuerant, omne ius belli Achiuos abstinuisse; casibus deinde variis Antenorem cum multitudine Enetum, qui seditione ex Paphlagonia pulsi et sedes et ducem rege Pylaemene ad Troiam amisso quaerebant, venisse in intimum maris Hadriatici sinum. Euganeisque qui inter mare Alpesque incolebant pulsis Enetos Troianosque eas tenuisse terras. Et in quem primo egressi sunt locum Troia vocatur pagoque inde Troiano nomen est: gens universa Veneti appellati. Aeneam ab simili clade domo profugum sed ad maiora rerum initia ducentibus fatis, primo in Macedoniam venisse, inde in Siciliam quaerentem sedes delatum, ab Sicilia classe ad Laurentem agrum tenuisse. Troia et huic loco nomen est. Ibi egressi Troiani, ut quibus ab immenso prope errore nihil praeter arma et naues superesset, cum praedam ex agris agerent, Latinus rex Aboriginesque qui tum ea tenebant loca ad arcendam vim advenarum armati ex urbe atque agris concurrunt.

Traduzione


Anzitutto è comunemente accertato che dopo la presa di Troia si infierì contro tutti gli altri troiani; mentre con due soli i Greci si astennero dall’applicare il diritto di Guerra, Enea e Antenore, e per antico diritto di ospitalità perché erano sempre stati fautori della pace e della restituzione di Elena. Attraverso vicissitudini varie, poi Antenore con una moltitudine di Eneti che cacciati dalla Paflagonia, per l’insurrezione cercavano una sede e un re dopo che avevano perso a Troia il loro Re Pilemone, venne una parte più interna dell’Adriatico. E espulsi gli Euganei che abitavano fra il mare e le alpi, gli Eneidi e i Troiani occuparono quel Territorio e in un luogo in cui da prima si stanziarono viene chiamato Troia e di qui quel territorio ha il nome di Troiano, mentre la popolazione nel suo complesso ebbe il nome di Veneti. Enea profugo da una simile disfatta ma guidato dai fatti a dare inizio a maggiori eventi, dapprima giunse in Macedonia, quindi, mentre cercava in sicila una nuova sede fu trasportato e dalla Sicilia, con la flotta puntò sul lago Laucentino anche questo luogo ha il nome di Troia. Come quelli a cui da un errare quasi interminabile non rimaneva nulla tranne le armi e le navi facendo qui preda nei campi il re latino e gli aborigeni che allora occupavano quei luoghi accorrono dalla città e dalle campagne per respingere le violenze dei forestieri.

De bello Gallico Pt. 2 (lLibro I)

Apud Helvetios longe nobilissimus fuit et ditissimus Orgetorix. is M. Messala [et P.] M. Pisone consulibus regni, cupiditate inductus coniurationem nobilitatis fecit et civitati persuasit, ut de finibus suis cum omnibus copiis exirent: perfacile esse, cum virtute omnibus praestarent, totius Galliae imperio potiri. Id hoc facilius iis persuasit, quod undique loci natura Helvetii continentur: una ex parte flumine Rheno latissimo atque altissimo, qui agrum Helvetium a Germanis dividit, altera ex parte monte Iura altissimo, qui est inter Sequanos et Helvetios, tertia lacu Lemanno et flumine Rhodano, qui provinciam nostram ab Helvetiis dividit. His rebus fiebat ut et minus late vagarentur et minus facile finitimis bellum inferre possent; qua ex parte homines bellandi cupidi magno dolore adficiebantur. Pro multitudine autem hominum et pro gloria belli atque fortitudinis angustos se fines habere arbitrabantur, qui in longitudinem milia passuum ccxl, in latitudinem clxxx patebant.

Traduzione


Tra gli Elvezi di gran lunga il più famoso ed il più ricco fu Orhgetorige. Egli, sotto il consolato di M. Messala e M. Pisone, spinto dalla voglia di potere fece una lega della nobiltà e persuase la popolazione, che uscissero dai loro territori con tutte le truppe: esser facile, superando tutti in valore, impadronirsi del comando di tutta la Gallia. Su ciò li persuase più facilmente in questo, perché ovunque gli Elvezi sono delimitati dalla natura del posto: da una parte dal Reno, fiume larghissimo e profondissimo, che divide il terreno elvetico dai Germani, dall’altra parte dal Giura, monte altissimo, che è tra i Sequani e gli Elvezi, dalla terza (parte) dal lago Lemanno e dal fiume Rodano, che divide la nostra provincia dagli Elvezi. Per queste cose accadeva che vagassero di meno intorno e meno facilmente potessero portar guerra ai confinanti; e da questa causa uomini voglioso di combattere erano colpiti da grande dolore. Inoltre a confronto della quantità di uomini e della gloria di guerra e di potenza credevano di avere territori piccoli, che si estendevano 240 mila passi in lunghezza e 180 in larghezza.

De bello Gallico Pt. 1

Gallia est omnis divisa in partes tres, quarum unam incolunt Belgae, aliam Aquitani, tertiam qui ipsorum lingua Celtae, nostra Galli appellantur. Hi omnes lingua, institutis, legibus inter se differunt. Gallos ab Aquitanis Garunna flumen, a Belgis Matrona et Sequana dividit. Horum omnium fortissimi sunt Belgae, propterea quod a cultu atque humanitate provinciae longissime absunt minimeque ad eos mercatores saepe commeant atque ea, quae ad effeminandos animos pertinent, important proximique sunt Germanis, qui trans Rhenum incolunt, quibuscum continenter bellum gerunt. Qua de causa Helvetii quoque reliquos Gallos virtute praecedunt, quod fere cotidianis proeliis cum Germanis contendunt, cum aut suis finibus eos prohibent aut ipsi in eorum finibus bellum gerunt. Eorum una pars, quam Gallos obtinere dictum est, initium capit a flumine Rhodano, continetur Garunna flumine, Oceano, finibus Belgarum, attingit etiam ab Sequanis et Helvetiis flumen Rhenum, vergit ad septentriones. Belgae ab extremis Galliae finibus oriuntur, pertinent ad inferiorem partem fluminis Rheni, spectant in septentrionem et orientem solem. Aquitania a Garunna flumine ad Pyrenaeos montes et eam partem Oceani, quae est ad Hispaniam, pertinet, spectat inter occasum solis et septentriones.


Traduzione




La Gallia complessiva è divisa in tre parti, di cui una l’abitano i Belgi, l’altra gli Aquilani, la terza quelli che nella loro lingua si chiamano Celti, nella nostra Galli. Tutti questi differiscono tra loro per lingua, istituzioni, leggi. Il fiume Garonna divide i Galli dagli Aquilani, la Marna e la Senna dai Belgi. Di tutti questi i più forti sono i Belgi, per il fatto che distano moltissimo dalla cultura e dalla civiltà della provincia e per nulla vanno da loro i commercianti e non importano quelle cose, che servono per effeminare gli animi e sono vicini ai Germani, che abitano oltre il Reno, coi quali continuamente fanno guerra. Per tale motivo pure gli Elvezi superano in valore gli altri Galli, perché con battaglie quasi quotidiane si scontrano coi Germani, quando o li respingono dai loro territori o loro stessi fanno guerra nei loro territori. Una parte di essi, quella che si disse che i Galli occupano, prende inizio dal fiume Rodano, tocca anche il fiume Reno dalla parte dei Sequani e degli Elvezi, si volge a settentrione. I Belgi cominciano dagli estremi territori della Gallia, si estendono alla parte inferiore del fiume Reno, si volgono a settentrione e ad oriente. L’Aquitania si estende dal fiume Garonna ai monti Pirenei ed a quella parte dell’Oceano, che è presso la Spagna, si volge tra il tramonto del sole e settentrione.

Non c'è amicizia senza lealtà

Firmamentum autem stabilitatis constantiaeque est eius, quam in amicitia quaerimus, fides; nihil est enim stabile, quod infidum est. Simplicem praeterea et communem et consentientem, id est qui rebus isdem moveatur, eligi par est. Quae omnia pertinent ad fidelitatem; neque enim fidum potest esse multiplex ingenium et tortuosum, neque vero, qui non isdem rebus movetur naturaque consentit, aut fidus aut stabilis potest esse. Addendum eodem est ut ne criminibus aut inferendis delectetur aut credat oblatis, quae pertinent omnia ad eam, quam iam dudum tracto, constantiam. Ita fit verum illud, quod initio dixi, amicitiam nisi inter bonos esse non posse. Est enim boni viri, quem eundem sapientem licet dicere, haec duo tenere in amicitia: primum ne quid fictum sit neve simulatum; aperte enim vel odisse magis ingenui est quam fronte occultare sententiam; deinde non solum ab aliquo allatas criminationes repellere, sed ne ipsum quidem esse suspiciosum semper aliquid existimantem ab amico esse violatum. Accedat huc suavitas quaedam oportet sermonum atque morum, haudquaquam mediocre condimentum amicitiae. Tristitia autem et in omni re severitas habet illa quidem gravitatem, sed amicitia remissior esse debet et liberior et dulcior et ad omnem comitatem facilitatemque proclivior.


Traduzione

Base poi di quella stabilità e costanza che cerchiamo nell’amicizia, è la lealtà; niente, infatti, è stabile se è sleale. È conveniente inoltre che venga scelto (come amico) uno schietto, affabile e concorde (con noi), cioè che reagisca alle situazioni come noi. Tutte cose queste che appartengono alla sfera della lealtà; neppure, infatti, può essere leale un carattere lunatico e tortuoso, né poi può essere leale o stabile (colui) che non reagisce come noi2 e non ha per natura i nostri stessi sentimenti. A (questo) stesso scopo bisogna aggiungere che (l’amico) non provi gusto nel muovere accuse o non presti fede alle (accuse) mosse. Tutte cose queste che riguardano quella fermezza d’animo che già da un po’ vado trattando. Così diventa vero ciò che ho detto in principio, che (cioè) non può esservi amicizia se non tra persone virtuose. È infatti proprio di un uomo virtuoso, che può anche essere definito saggio, osservare nell’amicizia queste due regole: la prima, che non ci sia niente di finto né di simulato; infatti addirittura l’odiare apertamente è degno4 di un uomo virtuoso più che il nascondere con il volto il (proprio) parere; la seconda5, che non solo rifiuti le calunnie mosse da qualcuno (contro l’amico), ma che non sia sospettoso neanche lui, pensando sempre che l’amico abbia commesso qualche torto6. Conviene che si aggiunga a ciò una certa dolcezza di parole e di comportamenti, condimento davvero non da poco dell’amicizia. L’atteggiamento burbero e severo in ogni circostanza possiede sì, (già) quello [oppure: di per sé], una (sua) serietà, ma l’amicizia deve essere più piacevole, più tranquilla, più dolce e più disposta verso ogni (forma di) cortesia e (di) affabilità.

La plebe Romana

Plebs romana, quia patrum (senatori) arrogantiam impatienti animo tolerabat, urbem reliquit et in montem sacrum secessit, ubi castra posuit et complures dies ibi mansit. quia magna perturbatio in urbe erat, patres plebis iram placare statuerunt et menenium agrippam, virum praestantis eloquentiae et populo carum miserunt.
agrippa, ubi ad plebem venit, insignem fabulam narravit. "olim-dixit-corporis artus ob desidiam et inertiam ventris coniuraverunt et sic statuerunt : "manus ad os cibum non portabunt, dentes cibum non mandent nec ventri inerti et otioso alimentum praebebunt". communi consilio (decisione) omnes obtemperaverunt neque ullus artus cibum ventri suppeditavit. sed mox totum corpus ad extremam tabem pervenit, quia sine ventris alimento vires omnes deficiebat (venivano mno). tunc artus cum ventre pacem fecerunt et totum corpus revirescere potuit". hac fabula agrippa animos omnium flexit et plebem in urbem revocavit.

Traduzione

La plebe romana, sopportando a malincuore i sopprusi dei nobili patrizi, abbandonò la città e si ritirarono sul monte sacro. Qui si trattenne per qualche gioirno e pose e fortificò gli accampamenti. perciò, essendoci stati nella città gravi disordini, i patrizi, per placare l'ira della plebe, inviarono ad essa menenio agrippa, che era un uomo di grande dialettica e pieno di saggi consigli ed era assai caro al popolo.
Tramandano che egli, giungendo presso la plebe, gli narrò questa storia : "Un tempo, le membra del corpo, sopportando a stento la pigrizia del ventre giurarono che nè le mani avrebbero portato il cibo alla bocca, nè la bocca lo avrebbe offerto, avendolo ricevcuto e tritato, al ventre.
Ma poichè le membra non procurarono nessun aimento al ventre, ben presto esse giunsero fino all'estremo deperimento: infatti solo allora capirono che l'opera del ventre non era inutile e tornarono in concordia con esso.
Così i patrizi e la plebe sono forti in concordia, s'indeboliscono in discordia".
Con questa favola Menenio Agrippa persuase la plebe e la indusse a tornare in città.

Il giudizio di Paride

Dicunt Iovem,cum Thetis Peleo nuberet .ad epulas omnes deas invitavisse praeter Discordiam.Ea,cum postea supervenisset nec admitteretur ad epulas,ab ianua misit in medium malum,dicens malum esse donum pulcherrimae dearum.Iuno,Venus,Minerva formam sibi (a se) vindicare coeperunt (cominciarono);quia inter eas magna discordia extitit,Iuppiter imperavit Mercurio ut deduceret eas in Idam montem ad Alexandrum Paridem eumque iuberet sententiam dicere.Iuno Paridi promisit eum in omnibus terris regnaturum esse,Minerva eum fortissimum inter mortales fore et omnium artificiorum peritum,Venus autem promisit se Paridi in matrimonium daturam esse Helenam,Tyndarei filiam,pulcherrimam mulierum.Paris Veneris donum elegit Veneremque pulcherrimam dearum esse iudicavit.Quare Iuno et Minerva Troianis fuerunt infestae;Alexander,Veneris impulsu,Helenam Lacedaemone Triam abduxit eamque in matrimonio habuit. Versione da Igno



Traduzione



Dicono che Giove, essendosi Teti sposata a Peleo, invitò al banchetto tutte le dee eccetto Discordia. Ella, essendo sopraggiunta di sorpresa e non essendo ammessa al banchetto, dalla porta inviò un frutto, dicendo che il frutto era un dono per la più bella delle dee. Giunone, Venere e Minerva cominciarono a rivendicare la bellezza per se stesse; poichè fra di loro (esse) emerse una grande discordia, Giove comandò a Mercurio che le portasse sul Monte Ida da Alessandro Paride e gli ordinasse di pronunciare la sentenza. Giunone promise a Paride che lui avrebbe regnato in tutta la terra ( plur.), Minerva che lui sarebbe stato il più forte fra i mortali ed esperto di tutte le astuzie, Venere invece promise che lei avrebbe dato in matrimonio a Paride Elena, , figlia di Tindaro, la più bella delle donne. Paride scelse il dono di Venere e giudicò che Venere fosse la più bella delle dee. Per questo motivo Gionone e Minerva furono ostili ai Troiani; Alessandro, su spinta di Venere, condusse Elena la Spartana a ***** e l'ebbe in matrimonio.

Città della Grecia Antica

Athenae, Sparta, Thebe non solum Graeciae incolis sed etiam in Italia et Asia notae erant. Athenarum incolae magnam et copiosam mercaturam exercebant, quare multas divitias accumulabant; litteras et philosophiam maxime colebant. Spartae incolae strenue pugnabant, patriam defendebant, sed nautae non erant. Thebarumquoque gloria clara est: nam adversus Spartae copias a Thebarum incolis apud Montineam victoria obtinebantur.

Traduzione


Atene, Sparta e Tebe erano note non solo in Grecia ma anche in Italia e in Asia. Gli abitanti di Atene esercitavano un ampio e ricco commercio, perciò accumulavano molte ricchezze; coltivavano specialmente la letteratura e la filosofia. Gli abitanti di Sparta combattevano valorosamente, difendevano la patria, ma nn erano marinai. Conosciamo la severa disciplina spartana : dopo la laboriosa vita militare le mense erano sobri(parche). Pure la gloria dei Tebani è famosa: infatti presso Mantinea contro le truppe spartane dagli abitanti di Tebe si ottenne una vittoria.

La Gallia e i suoi abitanti

Gallia magna terra est, Italiae propinqua. Ibi olim densae silvae, vastae orae, limpidae aquae erant. Galliae incolae agricolarum vitam securam atque industriam ignorabant, sed in silvis feras agitare optabant et postea praedas vorare. In miseriscasis vivebant; etiam feminae delicias divitiasque despiciebant. Galliae incolae audacter pugnabant neque pugnas neque insidias timebant. Tamen aliquando Romana potentia Gallia fera atque aspera frangitur.

Traduzione

La gallia è una grande terra, vicino all' Italia. Lì una volta c' erano densi boschi, vaste spiaggie e limpide acque. Gli abitanti della gallia non amavano la vita sicura e la laboriostà degli agricoltori, ma cercavano di inseguire gli animali (le belve) neli boschi e poi divoravano le prede. Vivevano in misere capanne; disprezzavano anche le delizie e le ricchezze della femmina. Gli abitanti della Gallia combattevano audacemente e non temevano nè le battaglie nè le insidie. Tuttavia infine la gallia inaccessibile e ruvida fu abbattuta dalla potenza romana.

De amicitia 1

Q. Mucius augur multa narrare de C. Laelio socero suo memoriter et iucunde solebat nec dubitare illum in omni sermone appellare sapientem; ego autem a patre ita eram deductus ad Scaevolam sumpta virili toga, ut, quoad possem et liceret, a senis latere numquam discederem; itaque multa ab eo prudenter disputata, multa etiam breviter et commode dicta memoriae mandabam fierique studebam eius prudentia doctior. Quo mortuo me ad pontificem Scaevolam contuli, quem unum nostrae civitatis et ingenio et iustitia praestantissimum audeo dicere. Sed de hoc alias; nunc redeo ad augurem.

Traduzione

Quinto Mucio, l'augure, soleva raccontare piacevolmente, affidandosi alla memoria, molte cose intorno a Gaio Lelio suo suocero; e non esitava a chiamarlo, in ogni discorso, «sapiente»; io, Poi, Presa la toga virile,' ero stato condotto dal padre mio a Scevola con l'intenzione che, finché potessi e mi fosse consentito, non mi allontanassi mai dal fianco del vecchio; e così molte cose da lui con sapienza discusse, molte dette con brevità e garbo, le mandavo a memoria e mi studiavo di farmi con la sua esperienza più dotto. Morto lui, mi sono recato da Scevola pontefice che oso dire superiore per ingegno e rettitudine a tutti i nostri concittadini. Ma di lui un'altra volta: adesso ritorno all'augure.

Ad Brutum, I, 3

Nostrae res meliore loco videbantur; scripta enim ad te certo scio quae gesta sunt. qualis tibi saepe scripsi consules, tales exstiterunt. Caesaris vero pueri mirifica indoles virtutis est. Vtinam tam facile eum florentem et honoribus et gratia regere ac tenere possimus quam facile adhuc tenuimus! est omnino illud difficilius sed tamen non diffidimus. persuasum est enim adulescenti et maxime per me eius opera nos esse salvos. et certe, nisi is Antonium ab urbe avertisset, perissent omnia. triduo vero aut quadriduo ante hanc rem pulcherrimam timore quodam perculsa civitas tota ad te se cum coniugibus et liberis effundebat eadem recreata a. d. xii Kal. Maias te huc venire quam se ad te ire malebat. quo quidem die magnorum meorum laborum multarumque vigiliarum fructum cepi maximum, si modo est aliquis fructus ex solida veraque gloria. nam tantae multitudinis quantam capit urbs nostra concursus est ad me factus; a qua usque in Capitolium deductus maximo clamore atque plausu in rostris conlocatus sum. nihil est in me inane; neque enim debet; sed tamen omnium ordinum consensus, gratiarum actio gratulatioque me commovet propterea quod popularem me esse in populi salute praeclarum est. Sed haec te malo ab aliis. me velim de tuis rebus consiliisque facias diligentissime certiorem illudque consideres ne tua liberalitas dissolutior videatur. sic sentit senatus, sic populus Romanus, nullos umquam hostis digniores omni supplicio fuisse quam eos civis qui hoc bello contra patriam arma ceperunt; quos quidem ego omnibus sententiis ulciscor et persequor: omnibus bonis approbantibus. tu quid de hac re sentias, tui iudici est; ego sic sentio trium fratrum unam et eandem esse causam.

TRADUZIONE

Cicerone saluta Bruto La nostra situazione pare alquanto migliorata: quello che è accaduto so positivamente che ti è stato scritto. I consoli furono alla prova quali io te ne avevo spesso detto. Meravigliosa poi la disposizione del giovane Cesare per la rettitudine. Almeno mi sia dato dirigerlo e dominarlo con tanta facilità in mezzo agli onori e agli evviva, quanto mi è stato possibile finora! Sarà senza dubbio più difficile; non dispero tuttavia: il giovane infatti è convinto, ed io ho contribuito moltissimo a rafforzarlo in tale idea, che noi siamo salvi per il suo intervento. E certo se egli non avesse tenuto lontano da Roma Antonio, tutto sarebbe andato in rovina. Nei tre o quattro giorni che precedettero questo fortunatissimo evento la popolazione, sconvolta da certe voci, pensava di rifugiarsi da te con le mogli e i figli; la stessa, riavutasi dopo il 19 aprile, preferirebbe ora che tu arrivassi qui anziché accorrere da te. Se da una gloria solida e vera si può aver frutto, certo io in quel giorno colsi il frutto migliore delle mie grandi fatiche e delle mie veglie numerose. Tutta una folla di popolo quanta ne può capire questa nostra città si riversò da me, e da essa fui portato fino al Campidoglio, issato sui Rostri fra i più fragorosi applausi. Nessuna vanità da parte mia, né ci dovrebbe essere; ma il consenso unanime di tutti gli ordini nel ringraziamento e nelle congratulazioni mi commosse veramente, perché grande e bella cosa è la popolarità conseguita con la salvezza del popolo.

Il nodo di Gordio

Alexander, urbe in dicionem suam redacta, lovis templum intrat. Vehiculum, quo Gordium, Midae patrem, vectum esse constabat, aspexit, cultu haud sane a vilioribus vulgatisque usu abhorrens. Notabile erat iugum adstrictum compluribus nodis in semetipsos implicatis et celantibus nexus. Incolis deinde adfirmantibus editam esse oraculo sortem, Asiae potiturum, qui inexplicabile vinculum solvisset, cupido incessit animo sortis eius explendae. Circa regem erat et Phrygum turba et Macedonum, illa expectatione suspensa, haec sollicita ex temeraria regis fiducia: quippe serie vinculorum ita adstricta, ut, unde nexus inciperet quove se conderet, nec ratione nec visu perspici posset, solvere adgressus iniecerat curam ei ne in omen verteretur inritum inceptum. lile, nequaquam diu luctatus cum latentibus nodis, "Nihil" inquit "interest, quomodo solvantur", gladioque ruptis omnibus loris, oraculi sortem vel elusit vel implevit.



Traduzione


Alessandro, ridotta in suo potere la città, entrò nel tempio di Giove. Vide il carro, con cui si sapeva che si era lasciato trasportare Gordio, padre di Mida, carro che alla vista non era affatto diverso nell’utilizzo da quelli più comuni e normali. Si notava immediatamente il giogo stretto con parecchi nodi avvolti su se stessi che nascondevano però i punti di connessione. Siccome poi gli abitanti dicevano che dall’oracolo era stata fatta la profezia che si sarebbe impadronito dell’Asia colui che avesse sciolto quel nodo inestricabile, gli venne il desiderio di mettere in atto quella predizione. Intorno al re c’era una folla sia di Frigi che di Macedoni, i primi sospesi nell’attesa, i secondi preoccupati per la sicurezza del re che pareva temeraria: infatti, dato che la serie di nodi era talmente stretta che non si riusciva né a capire né a vedere da dove prendesse avvio la connessione o dove andasse a finire, il re cercando di sciogliere i nodi aveva ingenerato in loro la preoccupazione che se il tentativo non fosse riuscito si risolvesse in un cattivo presagio. Quello, senza aver a lungo lottato coi nodi nascosti, disse: "Non ha importanza come vengono sciolti" e, tagliati colla spada tutti i lacci, o eluse o realizzò la predizione dell’oracolo.